4ª domenica di Avvento – anno C

Il Vangelo di questa domenica ci narra di un incontro tra due donne, decisamente distanti tra di loro: una giovane e l’altra anziana; una di un borgo della Galilea, terra delle genti, e l’altra di una città di Giuda; una senza credenziali, l’altra moglie di un sacerdote della classe di Abia ed ella stessa discendente di Aronne; una povera e l’altra certamente ben messa economicamente. La distanza tra le due donne è annullata e resa prossimità da un Dio che si fa vicino e accorcia le distanze tra gli uomini. Egli continua ad entrare nella nostra storia – anche personale – perchè facciamo passi di avvicinamento all’altro, soprattutto se straniero, diverso, culturalmente altro rispetto a noi, ultimo. Egli abbatte i nostri muri!

Entrata nella casa di Elisabetta, Maia saluta l’anziana parente, proprio come l’angelo aveva salutato lei precedentemente. In questo saluto intravediamo la grandezza di Maria che ha assorbito la grandezza di Dio. È Dio che fa il primo passo verso l’uomo! È lui che apre le danze! È lui che cerca l’incontro! Dirà san Paolo che Dio non ha atteso che l’uomo divenisse perfetto e puro, ma “mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rom 5,8).

Il primo passo di Dio diventa il nostro primo passo, quando anticipiamo tutti gli altri agli appuntamenti del perdono, quando impegniamo tutte le nostre energie per il rinnovamento della nostra vita, quando siamo i primi ad operare inversioni di rotta nel modo di parlare degli altri o nel modo di vivere la società e  la chiesa, quando siamo solerti nell’aiutare e nel condividere con chi è in difficoltà.

La risposta di Elisabetta si traduce in stupore: “A che devo che la madre del mio Signore venga da me?”. Lo stupore verso l’altro nasce quando si sa leggere la vita dell’altro con gli occhi di Dio. Elisabetta vede Maria così come la vede Dio, cioè come “madre del Signore”. Lo stupore si spegne quando guardiamo l’altro a partire dai nostri pregiudizi o precompressioni, da quello che gli altri ci mettono in testa, dalle nostre interpretazioni della realtà. Dio non smette mai di guardare a noi, a ciascuno di noi, con stupore e sorriso e per questo la nostra vita è “promossa”, è risollevata, è ricolmata della sua grazia. Guardare con lo stupore della fede è guardare oltre le apparenze o le esperienze, per cogliere, pur tra macchie e rughe, i lineamenti di santità che Dio ha impresso nel volto di ciascuno.

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