Omelia solennità del Corpus Domini – anno C

L’Eucaristia che celebriamo ogni domenica e ogni giorno è il cuore, il tesoro più prezioso della Chiesa. In essa Cristo continua a rinnovare il suo dono d’amore per noi, un dono senza riserve e senza misura, il dono della sua vita, che è vita eterna, cosicché mangiando l’eucarestia noi riceviamo il pegno della vita futura e diventiamo già qui sulla terra Colui di cui ci nutriamo, diventiamo “corpo di Cristo“.

Dall’eucaristia discende, dunque, un duplice dinamismo: da una parte essa ci proietta verso il futuro, verso la meta, verso il Cielo, ma dall’altra ci impegna in questa storia, nel nostro tempo. Dall’eucaristia, infatti, nasce la profezia. Il profeta è colui che vede il sogno di Dio che gli sta davanti, ne intuisce le novità sorprendenti e smuove il presente perché accolga i semi di novità della nuova creazione. Don Tonino Bello scriveva: “Se dall’eucaristia non parte una forza prorompente che cambia il mondo, che dà voglia dell’inedito, allora sono eucaristie che non dicono niente. Se dall’eucaristia non si scatena una forza prorompente che cambia il mondo, capace di dare a noi credenti, a noi presbiteri che celebriamo, l’audacia dello Spirito Santo, la voglia di scoprire l’inedito che c’è ancora nella nostra realtà umana, è inutile celebrare l’eucarestia”.

Il brano evangelico, che la liturgia odierna ci ha offerto quale Parola del Signore, ha dei tratti rivoluzionari, di grande novità.

1. “Voi stessi date loro da mangiare“. Gesù chiede ai suoi discepoli di abbandonare la logica del “ognuno badi a se stesso“, la logica di chi pensa che ognuno deve sbrigarsi i problemi per conto proprio e propone la logica e lo stile del “I Care“, tu mi interessi, la tua vita mi sta cuore, mi faccio carico di te, mi prendo cura di te. Chi celebra l’eucaristia assapora il mondo nuovo e si impegna a riconoscersi custode del fratello, di qualsiasi uomo, custode dei figli, della moglie o del marito, dei genitori, ma anche degli estranei, degli stranieri, dei poveri, degli ultimi. Nessuno può essere escluso dalla responsabilità del custodire, perché l’eucaristia è per tutti.
2. “Prese i cinque pani e due pesci… li spezzó e li dava“. Ecco il secondo tratto rivoluzionario: scommettere sul “poco“ che si dona con gioia. Gesù chiede di passare dalla tendenza di inseguire i grandi numeri, le grandi risorse, gli innumerevoli mezzi allo stile del piccolo che con umiltà feconda e genera l’impensabile. La spavalderia e l’arroganza di mostrare i muscoli, la millanteria di chi crede di sfondare nella vita perché ha agganci forti, la stoltezza di chi confida nelle proprie forze devono cedere il passo, in chi gusta il sapore vero dell’eucarestia, all’umiltà di chi crede e scommette nella forza silenziosa del seme.
3. “Furono portati via… dodici ceste“. Il pane condiviso si moltiplica, ma al tempo stesso genera una sovrabbondanza che permette anche ad altri – magari non presenti – di poter godere degli stessi benefici. La portata rivoluzionaria dell’eucarestia è qui: vivere lo stile inclusivo, adoperarsi perché tutti gli uomini possono sedere al banchetto della vita, lottare con le armi della non violenza perché i diritti di tutti siano garantiti, rispettati e incoraggiati.

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