22ª DOMENICA “per annum“ – B

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Riprendiamo la lettura del Vangelo secondo Marco, dopo l’approfondimento sul Pane di Vita eterna proposto dall’evangelista Giovanni nelle scorse domeniche. La pagina odierna è ancora una volta una provocazione, non solo per scribi e farisei venuti da Gerusalemme, ma anche per noi, su un tema di grande attualità: il primato del comandamento di Dio sulla tradizione degli uomini. Fa eco a questo testo e offre una chiave di lettura il testo di Matteo in cui Gesù a coloro che erano scandalizzati per il fatto che egli mangiasse con peccatori e pubblicani, disse: “Andate a imparare cosa vuol dire: Misericordia Io voglio e non sacrifici“. Il primato del comandamento di Dio è il primato della misericordia. Gesù non esclude le tradizioni degli uomini, ma invita a vivere queste, orientati dalla bussola del “comandamento di Dio“. Se non si ama il fratello, se non lo si rispetta nella sua dignità di persona, se non si spezza il pane con l’affamato, se non si accoglie lo straniero, se si considerano anziani e malati degli esseri inutili perché improduttivi, se siamo abitati da ogni sorta di male, come nell’elenco che il Vangelo odierno ci ha consegnato, a nulla servono le tradizioni umane, anche quelle più religiose e pie, anche quelle più antiche, anche quelle più utili alla società e alla Chiesa. San Paolo, nel famoso inno alla carità, chiosa chiaramente: “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe“.

Accanto al primato del comandamento di Dio si impone il primato della coscienza, quale luogo dove risuona quel comandamento. Viviamo in un momento storico in cui si è smarrito il riferimento alla coscienza o perché la si confonde troppo spesso con le proprie idee, i propri capricci, le proprie teorie, che in realtà avallano esasperatamente il proprio egoismo e il proprio individualismo, cosicché coscienza è sinonimo dell’Ego smisurato che ci portiamo dentro oppure perché la si baratta con la scusa che la colpa di quanto avviene sia “dell’ambiente o della situazione storica“. In quest’ultimo caso non si vuol riconoscere che siamo tutti, chi più chi meno, autori di un male che nasce dentro di noi. Certo, l’ambiente ha un’influenza più o meno grande, ma non potrà mai essere responsabile di tutto il male. Gesù oggi ci ricorda con forza che ciò che rende “impura” la nostra e l’altrui vita è il male che partorisce il nostro cuore, la nostra coscienza, quando questa non è illuminata dal comandamento di Dio.

È giunta l’ora di un’inversione di marcia, è urgente una rinascita per essere quella “primizia delle sue creature“, anticipazione dell’umanità nuova, che Dio ha in progetto per tutti.

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